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Gli industriali italiani hanno sempre percepito finanziamenti pubblici e svariate agevolazioni per creare occupazione. Specie nel meridione e nel Salento, gli industriali hanno ricevuto da parte dello Stato soldi, terreni, trasporti, macchinari, sgravi fiscali, ecc. con la promessa di creare posti di lavoro in zone colpite dalla disoccupazione e dalla depressione economica.
Tali operazioni finanziarie hanno sempre nascosto politiche speculative e truffaldine. Dopo l’ennesimo finanziamento gli industriali hanno pur aperto delle fabbriche ma con enorme sfruttamento dei lavoratori, costretti a situazioni indegne e massacranti.

Molti lavoratori — specie salentini — hanno accettato le speculazioni padronali e le condizioni schiavistiche poiché impregnati dalla secolare mentalità passiva e di assoggettamento e del teorema "meglio poco di niente".

Chiare sul punto le inchieste condotte dalla procura della Repubblica del Tribunale di Lecce che, a]l’esito di alcune indagini, ha definito il sistema imprenditoriale salentino fondato sullo sfruttamento, il sotto salario, l’evasione fiscale e contributiva e ritenuto scandaloso che tutte ciò da anni era ed è ben noto alle istituzioni. Partiti, sindacati, chiesa, scuola, università, amministrazioni pubbliche, associazioni, ecc. hanno sempre coperto tutto con il silenzio e l’indifferenza, se non con la complicità, per partecipare agli interessi di profitto. Lo sapevano tutti, ma nessuno è mai intervenuto in modo radicale.


A partire dagli anni ’90, le industrie salentine, al pari di quelle italiane, hanno chiuso le fabbriche, licenziato i lavoratori e trasferito la produzione nei paesi che vivono una situazione drammatica o post bellica, come il terzo mondo, l’Est europeo, l’Asia; quindi Etiopia, Nigeria, Iraq, Romania, Bulgaria, Albania, India, Bangladesh, Pakistan, Vietnam, ecc.
Paesi in cui gli industriali italiani pagano gli operai un dollaro al giorno.
Con il salario mensile di un operaio italiano pagano 100 operai in Africa.
Solo nel settore calzaturiero salentino, la delocalizzazione ha comportato la perdita di circa 20 mila posti di lavoro.
Oltre ai salari da fame, gli operai dei paesi allocati vivono condizioni di lavoro schiavistiche e chi protesta viene anche ammazzato. Alle lavorazioni — minimo per 12 ore al giorno — sono costretti anche i bambini.
Le industrie tessili italiane fanno lavorare le operaie del Bangladesh per 15 ore al giorno, con due soli giorni liberi al mese, corrispondendo una retribuzione mensile di 35 dollari i quali sono sufficienti ad acquistare solo
due scodelle di riso al giorno. Una condizione bestiale e di fame.


Per questi motivi le popolazioni sfruttate scappano verso l’occidente e giungono anche sulle nostre coste.
L'immigrazione straniera e la disoccupazione italiana hanno la stessa origine: gli industriali che licenziano in Italia e creano fame e schiavitù negli altri paesi. Questa politica di delocalizzazione crea disoccupazione in Italia ed affannamento nei paesi allocati per i soli faraonici profitti degli industriali, esentati dalla legge italiana e comunitaria dal pagamento delle tasse, agevolati con finanziamenti pubblici, protetti nei paesi allocati dalle forze militari dietro la copertura di “missioni di pace”.
Creare disoccupazione, creare affannamento, ridurre in schiavitù intere popolazioni è un crimine.
Da anni, invece, tutte le forze politiche ritengono la delocalizzazione legale e giusta. Anzi, propongono ai lavoratori italiani di ridurre i propri diritti, accettare condizioni di lavoro simili a quelle imposte ai lavoratori del terzo mondo, in modo da evitare la ulteriore delocalizzazione, in modo da escludere i licenziamenti ed evitare la disoccupazione.


Questo è il ricatto che impongono gli industriali. "o accettate condizioni lavorative peggiori, oppure vi licenzio e delocalizzo all'estero".
Se passerà questo ricatto, la politica di schiavizzazione si estenderà a tutte le situazioni ed a tutti i lavoratori. Per questo motivo occorre resistere ed appoggiare la lotta di opposizione degli operai italiani al pari della lotta degli immigrati e delle popolazioni colpite dalla delocalizzazione e dallo sfruttamento occidentale. Occorre promuovere sull’intero territorio nazionale una battaglia e delle iniziative di denuncia e di opposizione agli industriali ed ai loro complici.
Occorre far prevedere la delocalizzazione come un grave reato contro l’umanità, sanzionato come un omicidio visto che questo è l’effetto che provoca la fame, la disoccupazione, l’emigrazione, lo schiavismo; visto che gli immigrati pagano la loro fuga dalla fame anche con la morte nei nostri mari.
Chiunque delocalizza è un criminale e deve essere perseguitato e condannato.
Sarà un primo passo di lotta per ottenere giustizia ed uguaglianza di tutti i lavoratori del mondo.



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