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Fonte: Gardenia n. 322

aut. art. Caterina Gromis Di Trana

foto: Ferruccio Carassale

Il castello di Depressa, residenza della famiglia Winspeare, 

è circondato da un romantico giardino multiculturale.

Sulla facciata del castello una scritta recita, a firma di Carmelo Bene: “Non esiste la Puglia, ci sono le Puglie. Nasco in terra d'Otranto, nel sud del sud dei santi... Tutta la terra d'Otranto è fuori di sé. Se ne è andata chissà dove. É una terra nomade, gira su se stessa.” Così si entra nell'atmosfera di questo posto: pochi chilometri più a sud un promontorio, Caput Mundi, è la punta estrema del tacco ultimo traguardo d'Italia. A Depressa il castello è parte integrante del paese di cui ha scandito il tempo: è stato nel corso dei secoli fortificazione, distrutta dai Turchi nel 1481, poi masseria infine residenza del duca di Salve, il primo Winspeare in Puglia, prefetto di Lecce. Nel 1860 lo trasformò in quello che oggi è: una dimora gentilizia che raccoglie culture di tanti Paesi, con il fascino speciale dei luoghi di cui si percepisce l'intimità.

 

É giardino anche il cortile cinquecentesco, dove lo spirito inglese capace di ridimensionare qualunque magone, trapela dalle lapidi del cimitero dei cani. Recente quella “In ricordo di Alfonso, primo amico d'infanzia di Riccardo e Costanza”, con cui Francesco Winspeare ha suggellato l'appartenenza della sua famiglia alla storia di Depressa. Poche parole dicono tutto: le estati dei suoi bambini e dei loro giochi in giardino, ad assaporare la seduzione di quella luce speciale che c'è solo nel Salento, la stessa con cui sono cresciuti Francesco e i suoi fratelli, fra cui Edoardo, il regista, conservandone la forza per scelte di vita importanti. 


Il giardino ha il senso di una passeggiata, concepita da quel signore inglese, Antonio Winspeare
che, sposando una nobildonna salentina e diventando, tramite lei, duca di Salve, ne fu l'artefice. Non consultò specialisti tranne, forse, l'architetto Filippo Bacile, a cui aveva affidato il restauro della dimora. Nel tempo in molti ci hanno messo mano, amalgamando con rispetto gli interventi con quelli del passato. Angoli riparati ospitano quelle che Francesco chiama per ridere “alcove”, traduzione salentina del “coffe house” in inglese: panche e tavolini di pietra per riposarsi e guardarsi intorno. Il padre di Francesco, Riccardo, seguì con passione il giardino: ricostruì con sapienza il muro di tufi crollato con una tromba d'aria negli anni Settanta, unendo la parte rimasta in piedi con il contrafforte del muro a secco.

 

La mamma Elisabetta, principessa del Lichten-tein. ha voluto le rose Cinesi, il Colonnato in mezzo al giardino fiancheggiato da lavande e rosmarini dove far crescere Viti. rose e gelsomini, e l’agrumeto di limoni. aranci e clementine. Suo fratello Edoardo, il regista che ha reso onore al Salento e alle sue tradizioni, ha costellato di frasi celebri incise su lastre di pietra i muri chiari del palazzo. Francesco segue il giardino e produce Vini, mentre sua moglie Esmeralda, per meta olandese e per meta napoletana, si adopera per tutelare nel Salento un turismo di charme.

 


Una depressione del terreno in un angolo è quel che resta di una piscina in cui il duca di Salve faceva il bagno anche in inverno. Per un’altra piscina di uso più moderno sarebbe bello poter ripristinare una grande vasca per la raccolta delle acque, che fu soffocata quando crollo il muro. Alberi strani crescono mescolati a piante del posto: ai mandorli spontanei si affiancano falsi pepe (Schinus molle) con tronchi che sembrano mostri.

Poi ligustri, un agave altissimo isolato in un angolo come per caso, pini marittimi secolari, un Libocedrus decurrens stritolato da un immenso glicine che gli da un aspetto da mangrovia, alberi da frutto, un raro alloro della California (Umbellaria californica), un gelso dell’epoca dello zio Salve, ricordo dei tempi dei bachi...

 

Esmeralda dice che questo giardino riflette lo spirito dei suoi proprietari: loro lo governano in maniera discreta, permettendogli di crescere liberamente senza troppi interventi umani.

A ridosso del castello un labirinto di bambù cinese con le foglie a forma di coda di rondine (Sinarundinaria sp.) si stempera in un sottobosco di pervinche. Una bicicletta rivela la presenza di ragazzini all’opera: i bambù sono un bosco ideale per giocare a sardina, quel nascondino al contrario dove uno solo si nasconde. Gli altri giocatori quando lo trovano si nascondono con lui, perde chi rimane ultimo... e non perde proprio niente se sa approfittare degli istanti preziosi in cui può godere da solo l’incanto del giardino.



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